Aspetto antropologico

Alle precedenti ipotesi va anche collegato il mito popolare del Paese di Cuccagna o del Bengodi: il mito di questo paese, in cui si può mangiare, bere, avere anche il superfluo senza lavorare, diviene una specie di rappresentazione fisica, tangibile e piacevole del paradiso terrestre. Corrisponde al desiderio di rivincita delle masse povere, diseredate e affamate di ottenere durante la loro vita, almeno qualche volta, tutto e in abbondanza. Immagine mitica del ‘Bengodi’ che ricorda il paese in cui i fiumi sono divenuti di vino, le montagne di burro e formaggio, le vigne attaccate con salsicce; tutto questo, già presente nella novella del Boccaccio “Calandrino e l’elitropia”, molto diffusa in tutto il Rinascimento.

Queste visioni del ‘Bengodi’ trovano nelle rappresentazioni carnevalesche il loro principale veicolo di diffusione e di realizzazione temporanea in armonia con le funzioni di rifondazione del tempo e dei cicli produttivi. A partire dal XVI secolo in varie stampe ed incisioni, si vede l’albero, presso la porta del paradiso, ricco di ogni bene. L’albero, talvolta è l’elemento centrale della scena in cui la popolazione balla intorno ad esso; l’albero ha tra i rami i beni della ‘fortuna’, dalle corone reali, agli strumenti musicali ecc.; in un’altre, tre ragazzi cercano di arrampicarsi (…).

L’albero di Cuccagna, per certi aspetti, rigenera i temi dell’albero di maggio, arricchendoli e trasformandoli dal punto di vista dell’utopia, della conquista del ‘ben vivere’.

Il mito del paese di Cuccagna nel sud d’Italia esiste e lo si deduce dalla diffusione dell’albero di Cuccagna presente un po’ dovunque nelle feste patronali. Nello studio di D. Scafoglio, La Maschera di Cuccagna, si analizza come il mito del paese del ‘Bengodi’, legato alla sua dimensione alimentare, passa dall’utopia popolare alla Cuccagna di Stato.

È probabile che i vicerè di Napoli pensassero a questi materiali fantastici quando inventarono per il popolo la loro Cuccagna, più fastosa e complessa, tra la fine del XVII secolo e i primi anni del XVIII secolo. La cuccagna napoletana diviene occasione importante di spettacolo per i napoletani di ogni classe sociale, sempre più richiesta dalla massa dei poveri.

La cuccagna napoletana era innalzata su costruzioni fisse, a centro dell’attuale Piazza Plebiscito, davanti al Palazzo reale. Festa per celebrare il Vicerè e applaudire, soprattutto, la sua ‘munificenza alimentare’. A questa cuccagna napoletana partecipava la nobiltà locale ma anche quella proveniente da tutto il regno; i Baroni, portati ad imitare il Viceré, portarono nelle piazze dei loro paesi la Cuccagna napoletana, anche se, in forma più ridotta. In un’epoca come la nostra, in cui il sistema magico-religioso sembra aver perso il suo peso decisivo, si è imposta la tendenza a spiegare l’efficacia catartica della festa come effetto del processo di socializzazione, anzi di “ri-socializzazione”.

Il Lanternari così si esprime riguardo al nostro ‘Maggio’: «Con questo rituale – gli abitanti del posto – non fanno altro che ripetere una tradizione che li contraddistingue da tutti gli altri paesi vicini. In questo complesso cerimoniale essi trovano una grande occasione per riconoscersi dunque diversi dagli ‘altri’.

Lo celebrano, perché lo celebravano i loro antenati. Ed oggi sarebbe per loro una rinuncia a se stessi se dovessero spegnere la tradizione in oggetto.

Dunque il tema centrale, oggi l’unico immediatamente consapevole e funzionale, di una celebrazione siffatta, è quello del suo valore ‘socializzante’: la festa assurge così a ‘simbolo preminente’ della propria storia, cultura, tradizione, della propria personalità collettiva».

Questa interpretazione rende meglio compresibili alcuni aspetti della festa; tuttavia, dice lo Scafoglio: «la forza della tradizione e il bisogno di stare insieme non spiegano, da soli, né l’origine della festa, né il suo perdurare attraverso, e nonostante, il modificarsi dei rapporti economici e sociali, né, soprattutto, riescono a restituire la complessità delle sue funzioni.

La ri-socializzazione sarebbe una risposta implicita alla disgregazione della comunità tradizionale, determinata dai processi di omologazione culturale, dalla fuga dai paesi rurali, dalla terziarizzazione e dalla dissoluzione dei rapporti di parentela incentrati nella famiglia nucleare e dei legami di solidarietà che prima compattavano le comunità del villaggio».

Come si può vedere tutti questi elementi provengono da contesti culturali e da sollecitazioni sociali e politiche diversi. Le feste del Maggio dei nostri giorni, pertanto, non possono essere interpretate come occasioni in cui sopravvive il riferimento originale al Paese di Cuccagna attraverso il suo albero; non sono un documento della sopravvivenza dell’Albero della Libertà e, infine, non possono dire riferimento diretto al Rituale Arcaico di Primavera.

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